PROCESSO E VERITA’
Gorizia, 15 gennaio 2019
Processo e verità, sembrerebbe quasi una dicotomia. Eppure è proprio attraverso i processi che si dovrebbe giungere a stabilire la verità. Ma è sempre così? La verità processuale corrisponde sempre esattamente alla verità sostanziale?
Su questo tema la dottoressa Teresa Angela Camelio si è misurata in oltre 30 anni di carriera. Oggi è a capo della Procura di Biella, e si avvale di esperienze in numerosi incarichi di grande rilievo, anche internazionale. La dottoressa Camelio si è occupata di truffe internazionali sul petrolio, confische ai danni di organizzazioni criminali, cybercrimine e dal 2012 è rappresentante italiano all'Alta Corte di Giustizia dell'Aja. Nel 2015 è stata coordinatrice di un'operazione che ha coinvolto le polizie di mezza Europa portando all'arresto di 17 jihadisti. Nel 2000 diventa consigliere della della Suprema Corte. Nel mezzo molti incarichi in Toscana (Livorno, Firenze e Pisa), poi Parigi, dove è stata docente all'Ècole Nationale de la Magistrature e giudice di collegamento per l'Italia. Tra fascicoli più delicati e complessi su cui ha lavorato nel corso della sua permanenza in terra francese figura quello sull'estradizione della terrorista Marina Petrella, il caso relativo alla tragedia di Ustica, l'interrogatorio del terrorista internazionale Carlos, che ha fornito una versione personale sull'attentato alla stazione di Bologna e sull'Italicus.
E allora qual’è la verità? La dottoressa Camelio non ha dubbi, l’unica verità che può e deve avere effetti concreti sull’ordine sociale è quella processuale. Tra l’altro questa verità dipende dai sistemi giuridici nei quali si incardinano i processi e quindi può avere un valore diverso da paese a paese. Sia chiaro, l’obiettivo è sempre quello di arrivare alla verità sostanziale, o almeno avvicinarsi ad essa, ma le strade per raggiungerla possono essere diverse. Il sistema italiano, ad esempio, è basato sul processo orale, sul dibattimento, quello francese invece è di tipo inquisitorio e si basa principalmente su documenti e fatti documentati.
Ad ogni modo il processo è ovunque l’atto finale di un procedimento penale. Quest’ultimo ha subito importanti modifiche negli ultimi anni, aprendosi sempre più a una giustizia negoziata (es. il patteggiamento) che oltre a ridurre la durata dei processi è funzionale al ristoro delle parti offese in tempi ragionevoli.
Ci si chiede spesso se il giudizio, in particolare se di un solo giudicante, come nel rito abbreviato, può essere influenzato dall’opinione pubblica. In realtà il magistrato ha come obiettivo la ricerca del sapere certo, della “conoscenza scientifica”, l’epistème che i greci contrapponevano alla dòxa cioè all’’opinione, del singolo o di molti. Quest’ultima può essere oggi effettivamente influenzata dai media. Per i magistrati invece vige un sistema di protezione contro le pressioni mediatiche, le cui linee guida sono dettate dal CSM, a partire dal modo di interfacciarsi con media e le “notizie” che è possibile fornire alla stampa.
Sul punto è il caso di precisare che il divieto di divulgazione di atti giudiziari ancora coperti da segreto istruttorio riguarda i magistrati e non i giornalisti.
In conclusione, in particolare le istituzioni, devono accettare le verità processuali, e prescindere dall’opinione pubblica.